Giappone 2.0 e Aikidō: giorno 7 e 8

Dalla nostra base ad Akebonobashi in poco tempo abbiamo raggiunto la zona di wakamatsu ed oggi abbiamo cominciato la pratica all’hombu dojo, e ammetto che fa sempre un po’ impressione trovarsi in questo posto. Qui dal fondatore in poi si sono avvicendati tanti insegnanti che hanno dedicato tutta la vita all’Aikidō, ed anche tanti studenti. Ognuno di loro ha inseguito un’idea, ha cercato di imparare in questo posto, ha condiviso la sua pratica e anche se in parte minima ha influenzato gli altri. E quando salgo sul tatami ho l’impressione di sentire tutto questo, che anche un gesto per molti banale è stato provato e riprovato da migliaia di persone prima di me, che alcune vi hanno trovato un significato profondo, l’hanno esplorato in ogni modo ed altre magari l’hanno ignorato preferendone altri. Per questo salgo con l’emozione e la responsabilità di voler riuscire a vedere ogni cosa, ad assaporare tutto, a sprecare meno tempo possibile costi quel che costi. La mattina abbiamo cominciato con il maestro Yasuno, che ci ha proposto una lezione con una specie di scaletta invertita, katatetori jiyuwaza per i primi 40 minuti, alternando variazioni di iriminage, kokyūnage, shihōnage, kotegaeshi, illustrandole prima tutte insieme e ripetendole ogni tot, lasciandoci cambiare partner un paio di volte. Alla fine invece abbiamo lavorato su tecniche singole, in modo più strutturato. Una lezione molto bella e anche molto frequentata dove ho avuto la fortuna di praticare con gente esperta e dove dato che ci si alternava metà tatami per volta ho potuto guardare le tecniche di altri allievi esperti, tra cui il maestro Hito. Nella pausa prima della lezione serale siamo andati a zonzo fino al palazzo governativo di Shinjuku, ma abbiamo trovato l’osservatorio chiuso, una rifocillata al ristorante di una catena che fa spaghetti all’italiana che si chiama al dente e poi un salto a Shibuya, dove si trovano il famoso incrocio e la statua dedicata al cane Hachiko. Un po’ di riposo e via di nuovo sul tatami per la lezione di due ore del maestro Osawa. Mi ha fatto piacere riuscire a seguire il maestro anche nell’istruzione in giapponese, sentirlo sottolineare gli stessi elementi fondamentali presentati anche in Italia, e riscoprire il suo essere gentile ma anche molto fermo nel lavoro richiesto ai praticanti. Mi colpisce sempre il ritmo che riesce ad imprimere alla lezione, l’alternanza di tecniche, di bloccaggio e proiezione, che tengono il ritmo sostenuto senza scadere nel frenetico. Infine una bella cena ad un locale nuovo nel quartiere ed un po’ di riposo, mercoledì mattina è il giorno del rientro per Roberto e la mia prima alzataccia per la lezione del Doshu delle 6 e 30.

Mi sono alzato alle 5 per mettere a lavare i keikogi, salutare Roberto e dirigermi al dojo. La lezione del Doshu è sempre una delle più frequentate, insieme a quella delle 19, molte persone praticano prima di andare a lavoro o appena finito. Mi ha fatto piacere ritrovare Stella, una ragazza cinese che vive a Tokyo proprio per praticare Aikidō, l’ho conosciuta a Saku. Diversamente dal solito non abbiamo cominciato da shōmenuchi ma quasi tutte tecniche da ryōtetori. Grazie a Stella ho avuto modo di ricevere una tecnica dal Doshu, ha un taisabaki molto netto, e la sensazione come uke è che puoi giusto andare dove vuole lui senza alternative. Gli ultimi 10 minuti il Doshu lascia la possibilità di praticare liberamente, e a seconda del tuo partner la pratica può diventare interessante. L’ora successiva il maestro Irie sostituiva Kuribayashi sensei, attualmente in Belgio. La lezione ha avuto un ritmo molto tranquillo e il maestro ha insistito sull’uso del kokyū nelle tecniche, ha girato molto, mi è sembrato molto attento verso tutti. Tornati a casa con Giancarlo ci siamo riposati un po’ e poi abbiamo deciso che la bellissima giornata meritava un secondo round contro l’osservatorio del Tokyo metropolitan government palace, questa volta superata la coda per l’ascensore di una decina di minuti siamo riusciti a salire al 45 piano. Una vista stupenda, ma non credo le foto siano sufficienti a rendere la bellezza della visuale , non vi si riesce a vedere il monte fuji che ad occhio nudo emergeva come un profilo chiaro oltre la foschia. Di ritorno di nuovo al dojo per una doppia lezione del maestro Miyamoto, che oltre ad essere particolarmente energetico ho trovato molto chiaro didatticamente, alternando un lavoro da katatetori gyakuhanmi ad un lavoro analogo in ryōtetori. Un lavoro che è sfociato in uno shihōnage da hanmihandachi sia in katatetori che ryōtetori. Un’altra cosa che mi ha colpito molto è stato vedere Francesco Re prendere ukemi per il maestro in più di un’occasione, l’ho trovato cresciuto moltissimo tecnicamente, e penso sia appagante vedere che una scelta coraggiosa come andare a vivere in Giappone praticando Aikidō e mantenendosi con un lavoro stia dando frutti. Come ben ricordavo il tatami dell’hombu è sempre duro come la pietra, ma sto cercando di gestirmi meglio dell’ultima volta, soprattutto nelle tecniche in suwariwaza, e al momento sembro cavarmela.

Vi lascio ricordandovi che il 25-26 maggio, tornato fresco fresco dal Giappone ci possiamo incontrare per il seminario dei maestri Bottacin e Watanabe che ospitiamo al Kikai dojo di Ostia. Spero di vedervi sul tatami, di praticare insieme e di chiacchierare il più possibile (dopo la pratica)

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