Giappone 2.0 e Aikidō: giorno 12 e 13

Questa domenica mi sono dovuto davvero forzare per andare a praticare. Per diversi motivi, primo tra tutti l’enorme fatica accumulata tra venerdì e sabato, che anche dopo una buona dormita non sono riuscito a recuperare, poi le lezioni sono le stesse che potrò frequentare il lunedì mattina seguente, Kanazawa sensei ed il Doshu, per non tralasciare il fastidio di dover pagare il giorno a parte perché la domenica non è compresa nel mensile. Insomma sono stato un po’ indeciso, però alla fine mi sono detto che non andare è davvero da stupidi, il maestro Kanazawa mi interessa molto, ha una forma che mi sembra abbia la stessa impronta del maestro Fujimoto anche se fisicamente non gli somiglia affatto essendo minuto (ma solido come l’acciaio), quindi perché dovrei fare una sola lezione se ho questa possibilità di frequentarne due, certe occasioni non vanno perse. E poi c’è la questione Doshu, il cui Aikidō sto cercando in tutti i modi di decifrare, anche sul modo in cui abbia senso seguirlo. Montare sul suo tatami è davvero una sfida, un esercizio per me, anche caratterialmente, perché avendo l’impressione di non riuscire a capirlo ho un po’ una tendenza al rifiuto e questo aspetto di me non va bene. Io credo che l’Aikidō debba servire anche ad aprire la nostra mente a tutto e questo rifiuto istintivo, che altro non è che una forma di chiusura, deve cedere prima o poi. Quindi armato di keikogi, lasciando che la passeggiata fino al dojo rimetta in moto le gambe si riparte. E posso solo dire che alla fine della pratica sono contento della mia scelta, ho lavorato con Philippe, un canadese con cui ho affettato frutta e verdura mattina e sera a Saku ma con cui non avevo praticato sul tatami, che organizza il seminario del maestro Endo a Montreal, e con un giapponese che mi ha permesso di praticare ad un buon ritmo, di studiare, anche lui molto pulito tecnicamente, insomma una buona pratica. Il pomeriggio era in programma di andare a vedere il primo giorno del torneo di Sumo che si sta svolgendo a Tokyo ma non si è riusciti a trovare i biglietti quindi andrò lunedì pomeriggio. Il pomeriggio di domenica l’ho passato così a riposare per uscire a cena guidato da Suzuki nel quartiere coreano di Okubo, pieno di ristoranti che cucinano carne alla griglia.

Così lunedì mattina di nuovo alzata all’alba per la lezione del Doshu, e beh al 13 giorno di tatami doveva pur succedere, di incontrare una persona spiacevole. Tecnicamente bravo però ha chiuso tutte le tecniche sbattendomi ogni singola volta senza alcuna necessità, considerato che non lavoro mai in modo oppositivo,  ho continuato a praticare gentilmente per mezz’ora poi sull’ennesimo sbattimento su ryōtetori shihōnage ho fermato il gioco. Il vantaggio di lavorare sempre in modo soft da uke è che pian piano si impara a riposizionare il corpo restando centrati, così a metà di uno shihonage l’ho fermato nel suo kaiten e non sono andato giù, anzi ho tirato così forte in kaeshiwaza che mi sono dovuto fermare perché ho sentito i suoi gomiti cigolare, stessa cosa su quello successivo, e poi gli ultimi due invece ho ripreso a lavorare soft come al solito da uke. Al mio turno da Tori sempre lavorando gentilmente ho cominciato a tirare su il ritmo, da lì in poi la pratica ha ripreso il corso giusto, il signore ha cominciato a lavorare con più riguardo, cercando di rallentare il ritmo quando gli toccava da uke rialzandosi lentamente. Per fortuna all’ora del maestro Kanazawa invece ho lavorato con Suzuki ed è stata una bella pratica intensa ma centrata sul cercare di coniugare un certo lavoro morbido all’interno della tecnica asciutta e secca proposta dal maestro. Non è facile cercare una sintesi tra l’Aikidō che si persegue e quello che ti viene proposto dal maestro di turno, se si insiste sul fare solo il proprio allora non vale la pena salire su tatami diversi.

Il pomeriggio sono andato a Ryogoku dove si trova il kougikan, l’arena dove si svolgono i tornei di Sumo a Tokyo, ed è stato uno di quei sogni che si realizzano, prendere parte a qualcosa che è l’estensione di una tradizione centenaria. Le foto non rendono la bellezza del luogo e la sua atmosfera, ma credo che anche chi non è appassionato di Sumo dovrebbe andare almeno una volta, ricordandosi che i tornei si svolgono a Tokyo a gennaio, maggio e settembre, e che ci sono anche partecipazioni di gruppo organizzate apposta per gli stranieri (ci sono addirittura per le scolaresche di studenti del liceo giapponese). Tra l’altro lì vicino si trova il museo sulla città di Edo (antico nome di Tokyo), e cosa molto curiosa il dojo centrale del Daitoryū Aikijujutsu del maestro Kodo. Alla fine sono tornato a casa abbastanza presto, giusto per riposare per martedì che ho in programma tre ore di allenamento e il temibile giro regali prima del rientro, attività che purtroppo mi risulta più difficile di un ushiroryōkatadori sankyō in hanmihandachi

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