Giappone 2.0 e Aikidō: giorno 2

Oggi è stata una giornata di pratica intensa e la fatica comincia a farsi sentire, soprattutto nelle gambe. I primi tre giorni del seminario l’orario delle lezioni va dalle 11 alle 15, quattro ore di pratica intervallate da una breve pausa di trenta minuti. Il bel tempo ci ha permesso di andare in bici dal dojo fino al Budō hall di Saku, un buon riscaldamento in pratica. Avvicinandosi il fine settimana si è vista parecchia gente in più sul tatami, e infatti anche al dojo la sera i futon coprono ogni centimetro quadrato del tatami. Il maestro è tornato a chiederci cosa sentiamo quando eseguiamo la tecnica, ha sottolineato la necessità di non focalizzarsi sul far cadere il partner e a concentrarci invece sul muoversi liberamente. Quando riusciamo a muoverci liberamente, restando connessi con uke avverrà naturalmente ad un certo punto uno squilibrio tale che uke cada. Se il nostro kimochi, la nostra sensazione interiore non è piacevole non saremo in grado di muoverci liberamente. Per esempio nella pratica del suburi di Shomenuchi riusciamo a muoverci bene, ma nel momento in cui lavoriamo in coppie subito la foga di colpire cancella la sensazione piacevole precedente. Endo sensei ci tiene a sottolineare di aver ripetuto queste cose svariate volte, ed anche la pratica tecnica è tornata sugli stessi elementi ma da diversi approcci, in Ushirowaza, Shomenuchi e katateryotetori. Dopo l’allenamento siamo andati a goderci le onsen, i bagni termali, nella speranza che l’alternanza vasche fredde e calde aiutasse la circolazione e il recupero dall’affaticamento muscolare, comunque siamo usciti morbidi come delle meduse, speriamo che aiuti. La sera dopo cena nella sala antistante la cucina si sta insieme a scambiare chiacchiere e a conoscere meglio chi magari abbiamo incontrato per la prima volta sul tatami. si raccontano i viaggi e le esperienze che si sono accumulate. E poi via a dormire per un meritato riposo.

Giappone 2.0 e Aikidō: giorno 1

Ci siamo svegliati presto e dopo un giro veloce sullo Shinkansen che va in direzione Chiba, scendiamo a Sakudaira la stazione di Saku, città natale del maestro Endo. Qui i primi cinque giorni di Maggio e gli ultimi di Agosto si tiene un seminario intensivo guidato da Endosensei.

Il paesaggio ed il clima sono molto diversi, ci troviamo nel centro del Giappone e la primavera fa un po’ di fatica ad arrivare, delle belle catene montuose caratterizzano i dintorni. A Saku si trova il dojo aperto dal maestro Endo ed ora custodito e guidato da un suo allievo Arigasensei. Siamo troppi per poter praticare nel dojo, quindi le lezioni si tengono nel Budōkan di Saku (il locale palazzetto per le arti marziali) ma il dojo resta il cuore di tutte le attività che non si svolgono sul tatami. Si può essere ospitati e dormire con il futon sul tatami, cenare tutti insieme avendo collaborato alla preparazione del pasto, e trascorrere la serata scambiandosi opinione e conoscendo nuove persone. Fa un po’ impressione vedere l’organizzazione messa in piedi da Arigasensei, che pure restando il chiaro timoniere riesce ad essere vicino a tutti.

La lezione del maestro Endo è chiara, e si apre con un discorso che sottolinea non tanto cosa sia l’Aikidō ma perché e come dobbiamo praticarlo. Porre la propria attenzione a come possiamo far funzionare il corpo, al perché ci comportiamo in un certo modo, al creare una connessione con il partner e al perché questi ci risponde in una determinata maniera, liberandosi dalla voglia di sopraffare e proiettare, è al centro dell’insegnamento del maestro. Senza considerare poi il valore aggiunto di poter praticare con i suoi ottimi studenti che finora avevi solo ammirato nei video delle sue dimostrazioni, Arigasensei, Shimizusensei, Oiwa sensei, ti costringono a lavorare restando presente al 100%.

Come rematori affiatati

Quando si guarda ad un anno didattico che sta per cominciare la prima domanda che ci si pone è “quale indirizzo dare alle lezioni? Su cosa si vuole lavorare in particolare?”. Non sono domande semplici ed è necessario avere prima di tutto chiaro quale sia stato il risultato dell’anno precedente. Aver osservato i propri allievi agli esami di fine corso, i punti critici su cui si sono arenati, la loro partecipazione alle lezioni e ai seminari che si sono proposti è importantissimo. Ogni responsabile di dojo lo fa per i propri allievi, ma allo stesso tempo è necessario anche che l’insieme degli insegnanti che perseguono una didattica condivisa cerchino di fissare un obiettivo comune, confrontandosi tra loro, ma anche con gli allievi altrui che come uno specchio appena pulito restituiscono un’immagine più fresca. Ritrovarsi insieme tra dojo diversi ad inizio anno diventa così un’ottima occasione per porre le fondamenta e tracciare un percorso di un nuovo anno didattico, più immersiva sarà l’esperienza e maggiore sarà il profitto, nasce così l’idea di uno stage residenziale. Chi ha avuto la fortuna di frequentare lo stage di Laces condotto dal maestro Fujimoto può già aver vissuto parzialmente questa esperienza, laces è un paese abbastanza piccolo e chi frequenta il seminario si ritrova spesso fuori dal tatami anche a pranzo e cena condividendo molto tempo assieme. In quell’occasione però era il maestro che tirava le fila dell’anno passato dal punto di vista didattico e piantava i semi per quello a venire, ed allo stesso tempo ci osservava, me ne rendo conto ora, con davvero un’enorme pazienza. A Macerata ci ritroveremo quest’anno con il proposito di costruire tra dojo diversi un legame simile a quello che siamo stati così fortunati da aver potuto costruire tra noi insegnanti quando il maestro ancora ci accompagnava. Da venerdì 7 settembre fino a domenica 9, insegnanti e allievi saranno ospiti della stessa struttura, praticando sul tatami, studiando jo e bokken all’aperto, vivendo insieme i momenti conviviali, in modo da conoscerci e abbattere in modo sincero le barriere tra alto e basso. Non c’è praticante di Aikido che possa giovarsi nella pratica nell’isolamento, e più di qualunque lascito tecnico il maestro Fujimoto ha inculcato in noi l’idea che progredire nell’Aikido vuol dire trovare persone con cui praticare in modo paritario, nel senso del rispetto reciproco delle proprie capacità e livello. Se qualcuno è più bravo di noi dobbiamo dare il nostro massimo e approfittare per apprendere di più, se qualcuno lo è di meno dobbiamo adeguarci alle sue capacità ma restare allo stesso tempo stimolanti. Trasmettere questa idea di pratica nel concreto non è semplice, bisogna davvero trovare persone che con affiatamento si pongano lo stesso obiettivo, magari proprio perché sono state educate nello stesso momento, ed è per questo che credo che lavorare con Fabrizio, Koji e Laura sia così importante per me e i miei allievi. Che abbiate avuto l’opportunità di seguire il maestro Fujimoto o meno, se credete che praticare Aikido voglia dire confrontarsi sinceramente, e in modo affiatato senza timore costruire una pratica che non è dimostrativa ma costruttiva allora spero di ritrovarvi a Macerata per questo stage residenziale. Non siamo dei grandi maestri ma seguiamo con tenacia un grande insegnamento.

Viaggio in Giappone e Aikido: giorno 4 e 5

Giovedì è stata una giornata calda ma non troppo umida. Alla lezione delle 8.00 c’era il maestro Osawa che ha sostenuto un bel ritmo, mi è capitato di lavorare con un buon uke, Ivan di origini moldave, è stato un vero piacere, tenere un ritmo sostenuto senza la necessità di dimostrare niente ma concentrandosi nello studio. La lezione è volata via, alla fine ero accaldato ma non oltre i limiti del sopportabile. Poi per la seconda volta, da quando pratico all’hombu, mi sono affacciato al turno del primo pomeriggio per la lezione di Fujimakisensei. L’avevo visto in video e non mi aveva lasciato attonito, però esprime una certa potenza e mi incuriosiva. Ho trovato un insegnante solido e molto onesto, saremo stati poco più di una ventina, che ha mantenuto un buon ritmo nella parte iniziale e che poi al salire della stanchezza generale ha tirato fuori tachidori, il disarmo da attacco di spada, per l’ultimo quarto d’ora. Non essendo molti il maestro Fujimaki è venuto due volte a lavorare con me e il mio compagno, si è informato da dove venissi, e infine mi ha chiamato da uke durante una spiegazione. È davvero solido come la roccia, anche se come capacità di esprimere potenza mi ha impressionato di più lavorare con Kuribayashi sensei il giorno prima. Non sono riuscito a fare una terza ora perché la stanchezza accumulata per il caldo, l’umidità e uno scarso interesse per Sasaki sensei si sono sommati insieme e ho preferito riposare, anche perché l’indomani non essendoci nessuno di interessante al secondo turno ho optato per tornare a praticare al primo turno dal Doshu, purtroppo Irie sensei che doveva tenere il secondo e che ho beccato per caso il lunedì trascorso è assente. Venerdì appena sveglio alle 5.30 l’aria era già calda ed umida, le previsioni davano una giornata molto calda, ma arrivare sul tatami e trovare le finestre chiuse e più di 60 persone che fanno la schiuma lascia sconcertati. Non so quando durante la lezione abbiano aperto ma è stato del tutto inutile, ho saputo poi che eravamo arrivati a 37 gradi. Insomma a fine lezione eravamo tutti distrutti, non ho molta esperienza ma per la prima volta ho visto che nessuno si è fermato per concatenare una seconda lezione. Guigè un argentino che ho conosciuto e con cui ho praticato e che vive qui da anni mi ha detto che oggi sarebbe stato troppo caldo e di non fare altre lezioni. Sinceramente mi ero riproposto di fare solo la lezione del Doshu la sera, perché Sekisensei che mi interessava molto è assente e sostituito da Itosensei che non mi entusiasma e Mori sensei mi è stato sconsigliato da più parti. Con Federico allora siamo andati all’Edo Tōkyō museum , vicino al Ryogoku kokugikan lo stadio dove si tengono i tornei di Sumo, un percorso interessante sull’area di Tokyo dalla sua nascita fino al presente, con dei modelli in scala ricostruiti impressionanti. Tornati a casa l’umidità continuava a salire e sapendo che l’ultima lezione del doshu è la più affollata in assoluto mi sono trovato a concludere la giornata con una sola ora di pratica. Davvero frustrante.

Viaggio in Giappone e Aikido: giorno 2

Cominciamo subito dal dire che ho dovuto rivedere un po’ al ribasso il mio programma, purtroppo il caldo e soprattutto l’umidità terribile sono sfiancanti. Oggi dopo l’ora di Waka sensei ho sfiorato il colpo di calore. Trovare le finestre chiuse all’inizio della lezione, più di 50 persone sul tatami, un compagno di pratica che viaggia a ritmo sostenuto, e Mitsuteru Ueshiba che in 55 minuti, anzi 50 levando la ginnastica, ti fa fare 8 tecniche, illustrandole solo 4 volte, e gli avanzano pure 15 minuti per il jiyuuwaza (la pratica libera riassuntiva con il compagno) e la frittata è fatta. Mi son dovuto saltare la lezione di Yasuno sensei, che invece era un po’ più fresca e con molta meno gente, tant’è che credo che martedì prossimo farò il contrario, saltare il primo turno e seguire Yasuno. Non so perché ma fa molto più caldo dalle 6.30 alle 7.30 che dalle 8 alle 9. Quindi mi sono riprogrammato la pratica su tre ore al giorno, un turno la mattina privilegiando gli insegnanti che vorrei conoscere e due turni la sera, fare 5 ore potrebbe essere possibile in altre condizioni climatiche ed essendosi già ben abituati al tatami. La lezione di Waka sensei non mi ha entusiasmato, la spiegazione sbrigativa dà il via libera ad un fai come ti pare, dove ognuno interpreta a suo piacimento la traccia offerta. Il mio compagno è un buon allievo argentino di Yasuno sensei e mi sono fatto una lezione indiretta alla Yasuno, interessante ma un po’ estraniante, perché quelli intorno facevano tutti in modo diverso, anche tra loro. Quindi dopo aver raggiunto temperature da ebollizione ho scelto il fermo e il riposo, o quasi. Armato di asciugamano di emergenza, come da guida galattica per autostoppisti, ho cercato di impiegare il tempo andando a visitare il museo di spada ma l’ho trovato chiuso per trasferimento fino a gennaio, sfortuna. Il pomeriggio ho saltato Sakurai sensei, perché tenevo molto di più alla lezione del maestro Osawa. È stata una buona scelta perché Osawa sensei è davvero su un altro livello, in tanti aspetti. Per esempio nella gestione della lezione, già l’alternanza di tecniche tra nagewaza, tecniche di proiezioni, e osaewaza, tecniche di blocco a terra crea un ritmo sostenibile con accelerazioni e rallentamenti, con l’aggiunta di quattro pause acqua rapide dato il pomeriggio caldissimo. Ed anche la fortuna di ritrovare sul tatami il maestro Watanabe, lontano dal suo dojo di Bologna (www.aikidowatanabedojo.it) a Tōkyō per lavoro. Nella pausa prima dell’ultimo turno ci ho dovuto mettere una doccia fredda di 5 minuti per abbassare la temperatura corporea, e ne ho approfittato per un cambio keikogi che era diventato inservibile. Il secondo turno di Osawa era molto più affollato, sempre gestito benissimo nella conduzione, una sola pausa acqua ma qualche correzione in più offrivano dei momenti di respiro e allo stesso tempo delle sottolineature tecniche interessanti. Mi piace quanto il maestro riesca ad essere gentilmente intransigente, se ti vede fare un lavoro diverso nella correzione spiega bene le varianti possibili e sottolinea bene, molto bene, quale sia il lavoro che lui sta richiedendo. Poi se si vuole e si può capire il messaggio dipende a quel punto solo dagli allievi. Buone notizie sul fronte ginocchia, che sono in netta ripresa, e sul mio rapporto con il cementatami, inconsciamente ti trovi ad adottare tante piccole soluzioni che minimizzano l’impatto. Cominciare prima ad impiegare il sostegno delle braccia, addolcire il più possibile tutta la forma, essere fluidi nello scendere, e tanti piccole cose che forse non si registrano neanche. Domani mi ripropongo di seguire dalle 8 alle 9 Kuribayashi sensei, che mi ha impressionato moltissimo nelle sue dimostrazioni alla all japan Aikido e che sarà in Belgio ad inizio novembre, e poi il doppio turno serale di Miyamoto sensei, che so già sarà faticoso.
Alla prossima

Viaggio in Giappone e Aikido: giorno 1

Beh sono riuscito a mettere insieme quasi quattro ore di sonno, non male considerato il jet lag. Comunque alle 4 ero bello sveglio, e mi sono dedicato a ripassare un po’ di vocabolario, fare colazione etc, alle 5.30 smaniavo preoccupato di dover fare anche la registrazione etc Esco e manco 5 minuti ero al dojo, la stanza ad 800 metri è stata una bella scelta. La lezione del doshu è stata tosta come pensavo, tecniche molto base, mostrate 4 volte e poi pratica intensa con il proprio compagno. La tecnica del doshu è molto essenziale, sembra tutto semplice, ma replicare quel livello di controllo sul compagno così senza sforzo apparente sembra impossibile. Comunque un signore di una certa età, Tanisan, mi ha invitato a praticare insieme, lì non si cambia uke per tutta l’ora, ed ho accettato volentieri. Ammazza che preparazione fisica, si è fatto tutta la pratica a ritmo sostenuto come tori ed uke, un po’ essenziale nell’attacco, il che mi ha creato delle difficoltà nello squilibrarlo, il che a sua volta si è tradotto in molte correzioni su shihōnage ed ikkyō ura. Mi è parso ci fossero ampi margini per tirare atemi, ma mi sono astenuto dall’entrare in forme di competizione, meglio prendere le correzioni ed integrarle. Caldo e umidità terribili, da drenaggio completo delle energie, ma la sorpresa è stata il tatami, così duro che a fine giornata mi fa male poggiare le ginocchia per terra, non per una contusione da trauma ma proprio per il sommarsi di microimpatti su una superficie completamente rigida, ad un certo punto per necessità di spazio mi sono seduto in seiza sul parquet intorno al tatami e ho trovato la sensazione piacevole, almeno non c’erano le centinaia di cuciture che per sfregamento o per il rilievo ti consumano la pelle di mani e piedi. Comunque la lezione di Irie sensei è stata interessante, passava da un attacco all’altro e non riuscivo a capire dove volesse parare, e invece era tutto imposto sul lavoro di irimi kaiten, anche se ogni volta con piccole variazioni. L’unica sorpresa è che non me lo ricordavo così piccoletto, eppure a Bologna nel 2004 mi aveva impressionato quando mi aveva bloccato un ingresso di katatori menuchi con un solo braccio, che a spingere contro un muro si ottenevano più risultati. È venuto a fare un giro di tecnica ed ho avuto una bella sensazione di forza e rilassatezza allo stesso tempo. Fortunatamente il tatami si era svuotato un bel po’ e stranamente faceva più fresco che all’ora prima. Il mio compagno era un giapponese sui due metri, piuttosto tranquillo fino a quando abbiamo lavorato in hanmihandachi, lui in ginocchio ed io in piedi, era già in difficoltà così , poi Irie sensei l’ha preso di mira ed è entrato nel pallone, prima che facesse in tempo a staccarmi un braccio è finita la lezione. Poi una pausa con quasi due ore di sono. L’accoglienza del mio compagno di stanza, il buon Federico, e via in fuga per la lezione del primo pomeriggio. Toriumi sensei, ha lavorato su delle traiettorie ampie disegnate in modo circolare dalle braccia estese, una gestione del maai molto simile a quella che conosco del maestro Fujimoto. Mi sono sentito abbastanza di casa, vuoi anche per il lavoro con un compagno di allenamento francese piuttosto posato. Un rapido ritorno a casa per cambiare keikogi e per sapere se Federico si fosse ripreso e via alla doppia lezione di Yokota sensei. Prima di tutto il piacere di ritrovare Francesco Re (https://aikidokoryu.wordpress.com) che ha deciso di vivere per un po’ in Giappone per studiare Aikido e spada, abbiamo praticato insieme ad entrambe le lezioni. Poi molte tecniche, anche avanzate e un po’ inusuali tipo ushirowaza katatetori kubishime lo strangolamento da dietro, rapide eppure molto precise sul piano tecnico, con molti parallelismi alla spada. Le uniche note stonate, la confusione imperante in buona parte degli allievi su qualunque cosa fosse variazione dalla base, e si che Yokota sensei affondava il coltello nella piaga fornendoti un 3-4 variazioni a tecnica. Il fatto che il maestro per tamponare parlava tantissimo, e pure sempre agli stessi, che se non ho capito male sono pure i suoi allievi. Di buono di sponda è che ho capito molto di più grazie a queste correzioni anche se le ho dovute quasi rubare fermandomi nella pratica. È interessante che il maestro ci abbia lasciato lavorare un po’ liberi sulle tecniche offerteci nella lezione dividendo i praticanti in due gruppi, che si sono alternati sul tatami, con lo spazio in più non ho potuto evitare le proiezioni grandi che mi ero risparmiato fino ad allora con cura per via del tatami, molto meglio di quanto temessi. Peccato che il tatami mi abbia dato un colpo definitivo sul suwariwaza, è stata una vera sofferenza. L’impressione a fine giornata è che sul piano dell’affaticamento muscolare si possa andare avanti qualche altro giorno così, a patto però di riuscire a tamponare il dolore alle ginocchia. Sono rimasto molto sorpreso dalla totale assenza di uchideshi nelle 5 ore di pratica, e anche dalla qualità media dei praticanti, ma tornerò sul tema più avanti quando avrò un quadro più completo. Domani Waka sensei, il più giovane dei Ueshiba, il maestro Yasuno, che ho già incontrato a Monza e nonostante la sua enorme capacità non sono ancora riuscito a decifrare, il maestro Sakurai e poi finalmente uno dei miei preferiti il maestro Osawa.
A domani

Viaggio in Giappone e Aikido: giorno 0

Questo primo giorno (molto lungo) se ne è andato tutto nel viaggio e nel sistemarsi nella stanza vicino all’hombu dojo a Wakamatsucho di Shinjuku a Tokyo. Partito alle 15.15 da Roma di sabato 19, sono arrivato a Narita, l’aeroporto internazionale di Tokyo, alle 10.30 di domenica 20. Ho deciso di organizzare il viaggio in questo modo per cominciare la pratica da lunedì mattina presto alla prima lezione del doshu, Moriteru Ueshiba, nipote del fondatore dell’Aikido Morihei Ueshiba. L’intenzione con tutta la buona volontà è di praticare intensamente 5 ore al giorno, due ore la mattina presto in due turni, 6.30-7.30 e 8.00-9.00, e tre ore il pomeriggio, in un turno presto15.00-16.00 , e un po’ distaccati altri due turni gestiti di solito da un unico insegnante 17.30-18.30 e 19.00-20.00. Vorrei cercare di sfruttare al massimo la possibilità datami dalla decisione di venire i primi giorni da solo, cercando di riposare il più possibile tra i turni della lezione e dedicarmi per questi primi 9 giorni solo all’Aikido. Li trascorrerò tutti al dojo centrale, ad eccezione di domenica dove ho programmato di seguire un seminario poco lontano da Tokyo, a Saitama, del maestro Endo. Non so bene cosa attendermi, sono molto curioso di conoscere e praticare l’aikido di quei maestri che non ho ancora incrociato direttamente sul tatami, non avendone potuto frequentare i seminari in Europa, e di rinnovare la pratica con quelli che già conosco e stimo, primo tra tutti il maestro Osawa e il maestro Endo. Non ho un’immagine troppo idealizzata dell’Aikido del dojo centrale, perché all’ottima qualità innegabile degli insegnanti si oppone l’impossibilità di seguirne uno pienamente, vi dirò alla fine se questa impressione ne esce rafforzata o se invece l’esperienza mi porterà ad una conclusione differente. Sperando di vincere la resistenza dovuta al caldo e all’altissima umidità domani cominciamo con il Doshu. Purtroppo al cinquantennale dell’Aikikai ero impegnato nell’organizzazione e sono riuscito a ritagliarmi solo uno piccolo spazio per frequentare la lezione del maestro Kitaura, la cui pratica mi ha sempre colpito. Così domani salgo sul tatami per la prima volta come allievo di un Ueshiba. Poi seguirà la lezione di Irie sensei, che sostituisce Kanazawa sensei, che purtroppo è impegnato per questa settimana in un summer campo in Inghilterra, ma lo troverò lunedì prossimo per fortuna, perché ci tengo molto a seguirlo almeno una volta. Il pomeriggio Toriumi sensei, e uno dei miei favoriti in assoluto Yokota sensei, che ho già incontrato in un bel seminario organizzato dall’Aiko a Roma. Trovare la stanza presa in affitto è stata un’impresa, ma per fortuna la tecnologia sebbene con molta suspense, vedi batterie che si scaricano nel momento meno opportuno, ci è venuta in aiuto. È ora di lasciarvi che devo convincermi a riposare per accumulare sonno prima dell’alba. A domani!

Piccoli grandi stage!

Nell’Aikikai d’Italia come in molte altre associazioni ogni anno vengono organizzati moltissimi seminari, che si svolgono generalmente nei fine settimana. Tutti questi seminari sono condotti da grandi maestri giapponesi (o europei, vedi il caso di Tissier ed altri) che vengono in visita in Italia per seguire lo sviluppo degli allievi che li hanno come punto di riferimento e da maestri di lungo corso italiani, che con la loro lunga esperienza cercano di tenere vivo l’enorme bagaglio tecnico dell’Aikido. In buona parte di questi casi a giovarsi dell’insegnamento sono soprattutto i gradi più avanzati, perché i grandi maestri hanno già un linguaggio molto articolato che porta avanti un discorso cominciato molto tempo fa. Non è impossibile inserirsi e imparare qualcosa, ma credo che nel caso di un principiante assoluto, o di quel filone in particolare, quello che uno ne possa ricevere è un’immagine di qualcosa a cui aspirare o di un lavoro che ha seguito uno specifico percorso. Quale percorso formativo deve seguire allora un praticante di Aikido? Se avete letto già altri articoli sul blog conoscete l’importanza che do alla pratica assidua nel proprio dojo sotto l’occhio attento del proprio responsabile, oltre questo ci sono piccoli stage che secondo me hanno un enorme valore formativo. Li definisco piccoli stage perché sono tenuti da maestri che sono 3°-4°-5° dan, che non hanno nomi molto conosciuti ma che come il vostro insegnante sono a loro volta responsabili di corsi frequentati da persone principianti ed intermedie. Non girano il mondo dalla mattina alla sera, ma con premura costruiscono una pratica solida per i propri allievi, costruiscono il loro linguaggio didattico arricchendolo di parole ed esempi che hanno visto permettere di raggiungere più facilmente la comprensione di una tecnica o di un movimento. Un esempio di questo genere di stage sono quelli organizzati dall’Aikikai Milano, il dojo storico fondato e sviluppato dal maestro Fujimoto e portato avanti dai suoi allievi oggi, che sono rivolti uno ai gradi mu, 6° e 5° e l’altro al 5°-4°-3° kyu, e che di solito sono tenuti tra la fine di gennaio e marzo. Soprattutto il seminario rivolto ai gradi intermedi è un’ottimo stage che ha visto alternarsi insegnanti molto validi (Emilio Cardia, Fabrizio Bottacin, Andrea Re, Laura Benevelli, Cristina Sguinzo), impegnati nel costruire un percorso didattico intorno alle tecniche di quei gradi specifici. Il valore di questo stage è così alto che ogni anno con la scusa di accompagnare i miei allievi vi ho partecipato arricchendo non solo il mio bagaglio tecnico ma anche didattico, cercando di fare mie le soluzioni di insegnamento ogni volta proposte. Si tratta di persone che si sono formate seguendo lo stesso modello didattico, il maestro Fujimoto, ma che ovviamente hanno assorbito e fatto proprio il suo metodo secondo le proprie inclinazioni. Questo ha una grande importanza perché a volte un mio allievo che si è arenato su una mia spiegazione grazie ad un modo comunicativo differente riesce a superare l’impasse. Più o meno per lo stesso motivo questi “piccoli” stage sarebbero il modo migliore per avvicinarsi ad una pratica che magari si trova interessante ma che non si è ancora avuto modo di sperimentare pienamente perché differente da quella solita del proprio dojo. Vedo molte persone condividere sui social i video del maestro Fujimoto, pieni d ammirazione per la bellezza ed ampiezza dei suoi movimenti, e leggo come per molti di loro si è trattato di un evento non ripetibile, ed invece penso a come il maestro abbia elaborato una didattica ben precisa, tesa ad acquistare una ben precisa forma, e che questa didattica non è andata perduta ma viene tenacemente portata avanti dai suoi allievi, che si incontrano, confrontano e portano avanti quell’eredità. E questo credo non valga solo per il maestro Fujimoto ma sia un lavoro comune di tutti quei responsabili di dojo senza nomi altisonanti che si muovono sul territorio rispondendo prima di tutto ad un forte senso di responsabilità.
Detto questo, se in particolare siete interessati all’Aikido del maestro Fujimoto, e volete assaggiare il lavoro che egli ha proposto per anni, invece di sospirare davanti ai suoi video vi invito a ritrovarci sul tatami in occasione dello stage che ospiterò a Roma con gli stessi insegnanti che quest’anno hanno condotto il seminario per i 5°-4°-3° kyu a Milano, i maestri Bottacin e Benevelli.
Qui sotto la foto della locandina.
seminario Roma

La pratica dell’Aikido

Più di una volta al giorno mi chiedo e mi chiedono che cosa sia l’Aikido. Quando mi rivolgo questa domanda è soprattutto perché mi ritengo un cercatore, e credo che quando facciamo una ricerca sia importante avere chiara l’idea di dove si voglia arrivare. Allo stesso tempo però c’è qualcosa di sbagliato in questo porsi un obiettivo, perché in qualche modo chiude e restringe il nostro orizzonte, quando il nostro sguardo si fissa in un punto, è vero che raggiungiamo un maggiore grado di concentrazione, ma nello stesso momento non siamo più aperti, non siamo più disposti allo stupore, e cambiare, lasciare ciò che già conosciamo per lasciarci venire incontro qualcosa di nuovo, non è possibile. Certo esistono diversi livelli, per un principiante è importante avere chiaro che cosa si pretende da lui, ma da un certo punto in poi, se vogliamo raggiungere un certo grado di raffinatezza, è necessario essere disposti a sentire anche un semplice mormorio, e per quanto si possa crederlo questo non può avvenire se la mia volontà come un urlo procede in un’unica direzione. Come un uomo che scala una montagna e si ferma, con un animo aperto e sereno, stupito di fronte alla bellezza della natura, dobbiamo essere in grado di sentire l’eco più leggero. Cosa è quindi l’Aikido? Ora, in questo momento, credo sia soprattutto la pratica. Non la pratica di chissà quali esercizi esoterici, ma la pratica semplice, quotidiana. Quel lavoro sul tatami, e non, che ci porta a lavorare la stessa cosa con persone diverse, o con la stessa persona senza fermarsi anche per ore. Non parlo di una pratica passiva, ma di un lavoro con il proprio compagno che è disponibile ma attento, di un ripetersi di gesti all’apparenza meccanici ma fatto in modo vigile. Una pratica sul presente. Quale che sia il livello del compagno, la sua forza, la sua costituzione, è importante non uscire dalla pratica, parlare, insegnare, commentare ci portano fuori e non ci permettono di fare Aikido. Bisogna lavorare sulla traccia della tecnica offerta dall’insegnante, e affidarsi al ritmo, cadere e rialzarsi, osservare gli infiniti aggiustamenti che avvengono, le piccole differenze tra un’esecuzione e l’altra. Trovare il respiro, e soprattutto la forza. Non intendo quella fisica, che serve eccome, ma quella corrente che ci cattura e ci permette di non fermarci. Si deve intrecciare un rapporto di distanze, tempo, sensazioni con il compagno, e superare la rabbia, la paura e il dubbio diventa possibile. Quando la pratica ci porta al silenzio, che non vuol dire essere fermi e non fare rumore, ma il contrario, il movimento continuo che varia e ci trascina, allora lì da qualche parte comincia l’Aikido. Se si vuole “fare” Aikido, la pratica deve venire prima di tutto il resto. Parlare, sentirsi stanchi, provare resistenza ad andare agli allenamenti è comprensibile, sono cose che capisco e che faccio, ma bisogna vedere che tutto comincia con la pratica. Anche un libro scritto dal fondatore o da uno dei tanti geni che hanno sviluppato e fatto crescere l’Aikido vale meno di un’ora di pratica. Salire sul tatami e in modo sincero dare e ricevere senza interruzioni, ascoltando, lasciandosi a disposizione, conta infinitamente. Conta forse più di inseguire un grande maestro, perché se con sincerità lavorate con il vostro compagno, in quel momento, avrete già tutto il materiale su cui lavorare di cui potrete mai avere bisogno, indipendentemente dalla qualità dell’altra persona. Dobbiamo abbandonarci, lasciare tutto, e far si che la pratica diventi viva, non più un mezzo per giungere altrove, ma qualcosa dotata di un proprio valore, allora al suo concludersi potremo provare un senso sincero di ringraziamento.

Raduni 2014/2015

Con i corsi avviati a pieno regime in tutti i nostri dojo abbiamo ripreso la consueta pratica intensa, ma anche il normale studio svolto all’interno del dojo necessita di trovare presso insegnanti esterni il suo naturale complemento. Quindi preparate il keikogi da viaggio, l’agenda degli appunti e riscaldatevi, anche questo sarà un anno impegnativo!
Qui trovate la sezione raduni aggiornata!
Lo so, vi chiederete ma qual è l’anno che se ne stamo in panciolle? Eeeeeeeeeeeeh ce ne sta di tempo per riposà!